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13-APRILE -2017- 006- 43-Oggi finisce un'era: Berlusconi lascia il Milan

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13-APRILE -2017- 006- 43-

Oggi finisce un'era: Berlusconi lascia il Milan

Dopo trentuno anni di successi, lascia il presidente che ha rivoluzionato il calcio. Ora non perdiamo la memoria

Ci siamo. Questa sera in forma privata ad Arcore, domani mattina in forma pubblica nell'assemblea della società, Silvio Berlusconi esce definitivamente, completamente e ufficialmente dal Milan.

Ma prima di scoprire come sarà il prossimo Milan e di seguirne le traiettorie, sui campi di calcio e negli intrecci finanziari, è il caso di non perdere la memoria del Milan che è stato. Per trentuno anni, non per un giorno o due. E per tutto questo tempo, dagli elicotteri dell'Arena il giorno del primo raduno targato Silvio Berlusconi, estate del 1986, fino alla notte di Doha, dicembre del 2016, con il 29° trofeo, sottratto alla Juve di Buffon e Dybala, gli eversori del Barcellona, il Milan ha rivoluzionato il calcio. Ha dettato legge in giro per l'Europa e nel mondo, ha collezionato Palloni d'oro uno dopo l'altro, da Van Basten a Shevchenko, ha riempito San Siro e regalato un'era indimenticabile all'esercito dei suoi tifosi, cresciuto in modo esponenziale dopo un declino tecnico (due retrocessioni in B) e dirigenziale (la gestione Farina lo portò a un passo dal fallimento).

Erano ottantamila nella notte del Camp Nou per la conquista della prima Coppa dei campioni dell'era Berlusconi. Ottantamila milanisti che cantavano la loro incontenibile gioia e sfottevano il rivale Peppino Prisco che di quei cori andò fiero per molti mesi. Da allora molti ragazzi, in giro per il mondo, sono cresciuti nel mito di Gullit e di Baresi, di Weah e di Sheva, di Nesta e di Maldini, di Ibra e Thiago Silva, gli ultimi giganti di una stirpe di campioni allevati in modo magistrale da tre allenatori che hanno scritto la storia, Sacchi, Capello e Ancelotti.

Tutto questo oro che ancora luccica nel cuore e negli occhi dei milanisti e non solo, è stato toccato da Silvio Berlusconi che ebbe, come egli stesso riferì, «la lucida follia» di promettere in un giorno afoso di luglio 1987, al castello di Pomerio, dinanzi alla platea di calciatori, tecnici e dipendenti rossoneri, di puntare a fare del Milan «la squadra più forte al mondo». Billy Costacurta, all'uscita dalla convention, reagì in milanese: «Questo è matto». È diventato tutto vero. Certo ci sono stati anche giorni bui, la notte di Marsiglia e la beffa di Istanbul, le sconfitte più brucianti, più di uno scudetto è stato perso per strada per la voglia di stupire nelle coppe e in particolare nelle sfide con il Real Madrid umiliato a San Siro e al Bernabeu.

Eppure è rimasto intatto il patrimonio di innovazione e di cambiamento che Silvio Berlusconi ha regalato al calcio italiano, a cominciare dal famoso motto «vincere e convincere» diventato una trappola infernale per qualche allenatore (l'ultimo Allegri) poco incline a inseguire lo stile invece del risultato. Persino il regolamento (abolizione dello 0-2 a tavolino dopo il famoso episodio della monetina da 100 lire di Alemao a Bergamo) è stato modificato su suo impulso, per non trascurare l'attuale formula di Champions league suggerita all'Uefa quando vigeva ancora il sorteggio cieco che poteva mettere uno contro l'altro due big al primo turno.

Questo romanzo è stato il Milan di Silvio Berlusconi, capace di far sognare il suo popolo quando era tempo di mercato e si poteva strappare Donadoni alla Juve di Boniperti. Per questo oggi, mentre si procede allo storico cambio di proprietà del club, moltissimi milanisti dovranno ripassare trentuno anni di calcio e di trionfi e sottovoce spedire un «grazie Silvio» ad Arcore.

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Milan, da favola a scommessa E il Diavolo deve già correre

Dopo 31 anni e 29 trofei finisce l'irripetibile era Berlusconi Dal mercato al fairplay, tante scadenze per Yonghong&C.

Forse è bene scriverlo subito, forte e chiaro: il Milan, il «vecchio, caro, paralitico Milan», definizione romantica di Silvio Berlusconi pubblicata al culmine di uno dei tanti trionfi internazionali, non sarà più lo stesso da sabato 15 aprile dell'anno d'indecifrabile grazia 2017, mattinata santificata al derby impoverito di Milano.

Non sarà più lo stesso per una banale striscia di motivi: 1) perché non ci sarà più una famiglia dalle profonde radici milanese e lombarda alla sua guida; 2) perché segnerà l'avvento di un azionista proveniente dalla Cina scortato dalle incertezze sulle disponibilità economiche indispensabili a programmare il futuro; 3) perché dopo 31 anni scanditi da trionfi e successi impareggiabili (29 trofei la contabilità conclusiva al culmine della super-coppa d'Italia alzata nel cielo di Doha lo scorso dicembre) sarà rivoluzionata anche la cabina di regia del club. Uscirà dalla scena Galliani, il fedelissimo di Berlusconi, e sulla sua poltrona al terzo piano di via Aldo Rossi siederà Fassone, già conosciuto per le esperienze prima alla Juve (settore marketing), poi al Napoli quindi all'Inter chiamato da Moratti per procedere all'operazione dolorosa di taglio di dipendenti (quasi 250) e spese. Ariedo Braida, che di Galliani è stato la silenziosa ma preziosa ombra per 28 anni, sarà rimpiazzato da Mirabelli, conosciuto da Fassone all'Inter dove ha svolto il ruolo di capo degli osservatori.

Non è stato un passaggio indolore. Anzi, l'attraversamento del deserto, è durato due anni, addirittura dal 2 maggio del 2015 giorno del vertice con mister Bee poi scomparso. Ed è stato preceduto da un passaggio diventato l'annuncio della storica scelta di dismettere il club rossonero. Nell'estate del 2012 da Milanello partirono Thiago Silva e Ibra: fu l'inizio del viaggio che ha portato al trasferimento dalla famiglia Berlusconi all'uomo d'affari cinese. Che si ritroverà sulle spalle una montagna di debiti poiché l'operazione è stata realizzata grazie a una serie di finanziamenti, l'ultimo, decisivo, ottenuto dal fondo americano Elliott. Così dopo due clamorosi stop (preliminare firmato in Sardegna il 5 agosto, prima scadenza non onorata dicembre del 2016, seconda 3 marzo del 2017), si è giunti al tormentato closing. Perciò gli interrogativi sul conto della nuova proprietà rossonera sono legati alla capacità di restituire il prestito ottenuto attraverso le due strade tracciate da Yonghong Li: e cioè l'arrivo di generosi sponsor dalla Cina e la possibilità di quotare alle borse asiatiche il club rossonero. Che nel frattempo, per acquisire nuovo slancio e visibilità, dovrà meritarsi sul campo il ritorno in Champions league assente da troppi anni a Milanello. Non solo. Ma prima di procedere ad alcuni indispensabili passaggi di mercato interno (il rinnovo dei contratti di Donnarumma, De Sciglio e Suso), bisognerà presentarsi a Nyon, domicilio dell'Uefa per rinegoziare le modalità del fair-play finanziario che erano state concordate dalla precedente gestione (il viaggio in Svizzera di Barbara Berlusconi). Come si può capire al volo, il prossimo Milan targato cinese, non avrà molto tempo a disposizione per riprendere la scalata. A Silvio Berlusconi furono sufficienti, nei lontani anni Ottanta, un paio d'anni per allestire staff tecnico e squadra che avrebbe vinto lo scudetto contro il Napoli di Maradona e da lì dato la scalata a coppa Campioni e coppa Intercontinentale. Il Milan di Fassone quanto tempo impiegherà per riportare il club in Champions league? Ha una sola fortuna: un allenatore bravo, un gruppo composto da molti e promettenti italiani, e qualche straniero costato due lire (Suso pagato 300mila euro). Su questi pilastri non sarà impossibile costruire un grattacielo degno del logo milanista.

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E per salvare tutta l'operazione, galeotta fu l'Inter...

In nerazzurro Fassone conobbe l'avvocato Agostinelli, uomo decisivo per coinvolgere Elliott

Per salvare il closing del Milan, galeotta fu l'Inter. Già, per realizzare il piano decisivo utile all'acquisto del Milan, risultò fondamentale una vecchia conoscenza di Marco Fassone costruita proprio ai tempi dell'Inter.

Erano anche quelli giorni difficili e tormentati per la Beneamata, bisognava costruire la complessa architettura finanziaria per consentire il passaggio del controllo del club da Massimo Moratti a Erick Thohir, operazione appesantita da un debito enorme (440 milioni). Fu allora che Fassone, designato dai cinesi come futuro ad rossonero, conobbe e apprezzò il lavoro dell'avvocato Riccardo Agostinelli, un professionista già noto ai manager di Fininvest. Gli avevano infatti commissionato il rifinanziamento del debito rossonero (dell'ammontare di 240 milioni) con lo stesso schema applicato in occasione di altre due precedenti operazioni (Inter e Roma) sempre nel settore del calcio.

Tra i cinesi e Fininvest, l'appuntamento del 3 marzo era stato mancato, scaduto il contratto sottoscritto nel precedente mese di agosto, a rischio le due caparre da 100 milioni ciascuna versate nei conti di Fininvest: Yonghong Li stava per arrendersi dinanzi ai veti del governo cinese nel trasferire all'estero ingenti capitali, Silvio Berlusconi continuava a ripetersi che in mancanza di uno sbocco positivo della trattativa, il Milan sarebbe rimasto sulle sue spalle e avrebbe completato l'operazione giovani, italiani, meglio se provenienti dal settore giovanile rossonero. Fu allora che Fassone si ricordò dell'avvocato Agostinelli e gli chiese di aiutarlo nell'operazione di salvataggio. Insieme, i due partirono per Londra lunedì 20 marzo dopo una serie frenetica di contatti (venne ribattezzato il viaggio della speranza). Trovarono due fondi disponibili a imbarcarsi nell'avventura, uno dei due dopo qualche giorno si sfilò ma l'americano Elliott, il più importante, confermò l'interesse e la disponibilità. E nel giro di una settimana, scandita da uno scambio frenetico di mail e bozze di contratti, ci fu la famosa firma. Sabato 25 marzo, ore 9.45: sono il giorno e l'ora che Yonghong Li e il suo socio David Han Li ricorderanno per molto tempo ancora perché soltanto allora poterono dire d'aver ormai acquistato il Milan di Silvio Berlusconi. C'erano i soldi, tutti i soldi necessari per completare il pagamento del prezzo concordato (520 da versare a Fininvest più 220 di debiti da rinegoziare con le banche) e far issare sul pennone della torre del Portello, dove hanno sede gli uffici del Milan, la bandiera cinese.

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Sarà cinese e un po' americano Lo United il modello da imitare

Mr. Li a Milano, operazione da 720 mln. Decisivo il fondo Elliott. Sarà proprietario se il prestito non verrà saldato

Yonghong Li è atterrato alle 7.20 di ieri mattina all'aeroporto di Malpensa con un volo proveniente da Hong Kong.

Mister Li ha una missione: diventare il nuovo proprietario del Milan rilevando il 99, 93% dalla Fininvest della famiglia Berlusconi. La firma all'accordo dovrebbe essere messa oggi nello studio legale Gianni Arrigoni e partners in piazza Belgioioso, a Milano. Poi Li, con il resto della delegazione cinese, dovrebbero recarsi ad Arcore a cena da Silvio Berlusconi. Domani è invece fissata l'assemblea degli azionisti che dovrà ratificare l'intesa e nominare il nuovo cda.

In tutto, l'imprenditore cinese metterà sul piatto 720 milioni di euro cash. Secondo quanto riferisce il sito Calcio&Finanza, finora ha versato nelle casse della Fininvest circa 250 milioni ma deve ancora metterne sul piatto altri 270 per arrivare ai 520 necessari a rilevare la quota, oltre a mettere a disposizione della società 150 milioni e pagarne a Fininvest altri 70 per rimborsare il prestito che la holding dei Berlusconi ha concesso al club per finanziare l'esercizio corrente. Fininvest incasserà complessivamente 590 milioni. Nel Milan ne arriveranno circa 150 che potrebbero servire a rimborsare il debito in essere con le banche per poi aprire nuove linee di credito per finanziare la campagna acquisti 2017-2018. Una parte della caparra sono fondi propri, altri sono stati messi a disposizione della banca cinese Huarong.

Circa 300 milioni, ovvero la parte più consistente, verranno invece finanziati dal fondo Elliott attraverso un prestito con scadenza a 18 mesi sul quale Yonghong Li pagherà un interesse di circa l'11%. Al termine dei 18 mesi l'uomo d'affari cinese dovrà quindi versare al fondo circa 350 milioni tra capitale e interessi maturati. Se non lo farà, Elliott potrà escutere la garanzia sul 100% del Milan diventando il proprietario.

L'intervento del fondo Usa è stato decisivo per sbloccare l'operazione sulla vendita del club rossonero. È entrato in partita a fine marzo accompagnato dalla società londinese Blue Skye. Pare che ad attirarlo sull'operazione sia stata la possibilità di trasformare il club in una sorta di media company sul modello Manchester United, che al netto dei risultati sul campo raddoppia i ricavi grazie alle sponsorizzazioni, licenze, merchandising, e diritti televisivi visto che la squadra dei Red Devils ha lanciato, prima di altri, un proprio canale tv attivo in 90 Paesi.

Ma chi è Elliott? La società di gestione del fondo è stata fondata nel 1977 dal finanziere americano Paul Singer (73 anni e un patrimonio personale di 2, 3 miliardi di dollari secondo Forbes) ed è oggi un colosso che gestisce asset per 31 miliardi di dollari. In Italia è finito di recente alla ribalta delle cronache finanziarie conquistando la fama di fondo attivista: un anno fa i fondi di Elliott Management Corporation sono entrati nel capitale di Ansaldo Sts, società genovese il cui controllo è passato da Finmeccanica (oggi Leonardo) al colosso giapponese Hitachi. Il fondo ha rastrellato azioni in Borsa arrivando progressivamente ad una partecipazione potenziale di circa il 30% dando vita ad un braccio di ferro sul governo societario con il management espressione dell'azionista giapponese. Nel caso del Milan, a mister Li è stata concessa quella che tecnicamente viene definita una Special Situation, cioè un prestito anche oneroso e con tassi d'interesse alti a fronte però di garanzie ben precise che possono essere la cessione in futuro di quote del club nel caso i soldi non rientrino, o alcune ipoteche sul piano industriale e in vista di un futuro riassetto nel caso poi la squadra dovesse essere rivenduta a terzi. L'interesse di fondi come Elliott non è riscattare l'asset indebitato, ma rientrare dell'investimento. E se Li non restituisse i soldi, il fondo potrebbe rilevare il club, pulirlo dai debiti ed eventualmente rivenderlo a terzi. Comunque vada, sarà un successo. O meglio, un buon affare.

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Donnarumma e Suso da blindare, poi il mercato

Le priorità sono i rinnovi del portiere e di Montella. Musacchio e Kolasinac i primi obbiettivi

Milano Se il closing è stato estenuante, un percorso ad ostacoli, non da meno sarà il calciomercato del nuovo Milan.

L'ad Fassone e il ds Mirabelli non avranno neanche il tempo di festeggiare l'ingresso in società che dovranno sedersi subito ad altri tavoli, comunque impegnativi. E la priorità non sono gli acquisti, ma i rinnovi dei contratti. De Sciglio, Donnarumma, Suso, in rigoroso ordine alfabetico ma è scontato che l'ideale sarebbe partire dal portiere. Blindare il fenomeno dei pali, sarebbe un segnale importante per l'ambiente e anche per l'esterno perché potrebbe fungere da arma di convincimento per attrarre giocatori di primo piano in rossonero. Dopo cinque anni di delusioni e un'altra stagione fuori dalla Champions League anche il blasone del Milan inizia a risentirne come forma d'attrazione. Ad esempio Pierre-Emerick Aubameyang avrebbe declinato l'offerta per tornare a Milanello dove è cresciuto nelle giovanili prima di perdersi tra prestiti in Francia e sbocciare definitivamente al Borussia Dortmund.

Anche con Vincenzo Montella bisognerà sedersi a un tavolo per mettere nero su bianco il rinnovo e fare dell'allenatore l'anello di congiunzione tra passato e futuro. Poi con Montella si parlerà di mercato. La nuova proprietà ha già individuato le priorità: un difensore centrale, un terzino, un centrocampista e un attaccante. Per i primi due già tracciati gli identikit: Musacchio, stopper del Villarreal, e Kolasinac, esterno dello Schalke 04. Tra i giocatori in rosa ma non di proprietà un capitolo a parte merita Deulofeu che in sei mesi di Milan ha convinto il Barcellona a riscattarlo dall'Everton per sedici milioni. A quel punto non è da escludere che si possa bussare alla porta della società blaugrana per un eventuale prestito. Infatti il grave infortunio non permetterà a Bonaventura di rientrare a pieno regime prima della fine dell'anno. Se si dovesse riuscire a trovare un accordo con il Barça resterebbero praticamente intatti cinquanta milioni, parte dei soldi prestati dal fondo Elliott decisivo nel closing e destinati alla campagna di rafforzamento. Inoltre un'eventuale cessione ben remunerata di Bacca aumenterebbe il cash a disposizione. L'idea è di un colpo ad effetto per presentarsi alla piazza rossonera dopo un closing tirato per le lunghe che a livello d'immagine ha sollevato non pochi dubbi.

13/04/2017